phot. Deborah Sheedy |
Si, mi ricordo quella parete
nella nostra città rasa al suolo.
Si ergeva fin quasi al sesto piano.
Al quarto c'era uno specchio,
uno specchio assurdo
perché intatto, saldamente fissato.
Non rifletteva più nessuna faccia,
nessuna mano a riavviare chiome,
nessuna porta dirimpetto,
nulla cui possa darsi il nome “luogo”.
Era come durante le vacanze
vi si rispecchiava il cielo vivo,
nubi in corsa nell'aria impetuosa,
polvere di macerie lavata dalla pioggia lucente,
e uccelli in volo, le stelle,
il sole all'alba.
E cosi come ogni oggetto fatto bene,
funzionava in modo inappuntabile,
con professionale assenza di stupore.