lunedì 16 aprile 2018

Ode all'anguria



...e uno desidera morderti 
affondando in te 
la faccia, i capelli, 
l’anima! 

photo Dan Martensen

L’albero dell’estate 
intenso, 
invulnerabile, 
è tutto il cielo azzurro, 
sole giallo, 
stanchezza a goccioloni, 
è una spada 
sopra le strade, 
una scarpa bruciata 
nelle città: 
la chiarezza, il mondo 
ci angosciano, 
ci attaccano 
gli occhi 
con polverone, 
con repentini colpi d’oro, 
ci incalzano 
i piedi 
con piccole spine, 
con pietre calde, 
e la bocca 
soffre 
più che tutte le dita: 
hanno sete 
la gola, 
i denti, 
le labbra e la lingua: 
vogliamo 
bere le cascate, 
la notte azzurra, 
il polo, 
e quindi 
attraversa il cielo 
il più fresco di tutti 
i pianeti, 
la rotonda, suprema 
e celestiale anguria.  

È il frutto dell’albero della sete. 
È la balena verde dell’estate.  

L’universo secco 
all’improvviso 
cancellato 
da questo firmamento di freschezza 
lascia cadere 
la frutta 
traboccante: 
si aprono i suoi emisferi 
mostrando una bandiera 
verde, bianca, scarlatta, 
che si scioglie 
in cascata, in zucchero, 
in delizia!  

Cassaforte dell’acqua, placida 
regina 
del fruttivendolo, 
bottega 
della profondità, luna 
terrestre! 
Oh pura, 
nella tua abbondanza 
si sciolgono rubini 
e uno 
desidera 
morderti 
affondando 
in te 
la faccia, 
i capelli, 
l’anima! 
Ti distinguiamo 
nella sete 
come 
miniera o montagna 
di splendido alimento, 
ma 
ti trasformi 
tra la dentatura e il desiderio 
soltanto in 
luce fresca 
che si slega, 
in sorgente 
che ci toccò 
cantando. 
E così 
non pesi 
nella siesta 
bruciante, 
non pesi 
soltanto 
uvette 
e il tuo grande cuore 
di brace fredda 
si trasformò nell’acqua 
di una goccia.
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- Pablo Neruda -
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